Antigone, modello femminile

antigone

“Donne siamo pur nate e non a lotte di uomini”

Oct 11, 2023

Un modello femminile senza tempo è la figura costruita da Sofocle nella tragedia del V secolo, Antigone. La sua discendenza si lega a un altro personaggio emblematico, poiché è figlia di Edipo lo sventurato (fa parte della trilogia insieme a Edipo re e Edipo a Colono).

Nella città di Tebe si è fatta la guerra tra i due figli di Edipo (ho in mente la scena di Hercules, quando i tebani sospirano parlando di terremoti, incendi e inondazioni e pensano di trasferirsi a Sparta), Eteocle e Polinice, che sono morti combattendo l’uno contro l’altro. Antigone è loro sorella, e nonostante il divieto del re Creonte, decide di onorare il suo dovere familiare e di seppellire il fratello disobbedendo all’editto del re.

Antigone rappresenta un esempio emblematico di disobbedienza civile, ponendo al centro della tragedia il conflitto tra legge dello Stato e legge morale. Il fatto che la protagonista sia una donna è particolarmente significativo, poiché sfida non solo l’autorità politica, ma anche le norme sociali che relegano le donne a un ruolo subordinato. Rileggendola oggi, dopo anni, emergono nuove riflessioni sulla fedeltà a se stessi e sulla difficoltà di mantenere la propria integrità in un contesto di oppressione. Il dramma evidenzia, così, il conflitto tra imperativo esterno (le leggi dello Stato e le norme sociali) e imperativo interiore (la coscienza e i valori personali).

“Sentiamo accentuarsi impreciso ma di intenso vigore poetico un problema, che è l’anima tutta greca del dramma. È quello della duplice origine della legge e della doppia autorità che ne deriva, e cioè, in un linguaggio più nostro, del dualismo di autorità e di coscienza, di imperativo esterno ed interiore”, commenta Giuseppina Lombardo Radice nella prefazione del testo Einaudi.

Nel prologo della tragedia Antigone già sa cosa giusto per lei, ovvero seppellire suo fratello, costi quel che costi: lo dice alla sorella Ismene, la quale replica così:

Questo sia fermo nella mente: donne siamo pur nate e non a lotte di uomini; da più forti costrette a ubbidire, e in questo e in altro che faccia più male.

Le donne sono nate per ubbidire agli uomini. Questo è chiaro dall’inizio, questo ci è chiaro da secoli, ma Antigone replica che sa quello che deve fare.

Antigone non solo rispetta le leggi morali, ma fa dell’amore la piú grande delle rivoluzioni. Viene scoperta nel tentativo di seppellire Polinice e mandata dinanzi a Creonte, che le chiede come abbia osato calpestare le leggi. Antigone gli risponde così:

[…] Io non pensai che tanta forza avessero gli ordini tuoi, da rendere un mortale capace di varcare i sacri limiti delle leggi non scritte e non mutabili. […] Ora, se innanzi tempo ho da morire, io lo chiamo un vantaggio: per chi vive tra dolori infiniti, com’io vivo, perchè la morte non sarebbe un bene? […] Ti sembro irragionevole? Naturalmente; dinanzi a un folle rispondo d’un reato di follia.

Creonte ribatte che ella non dovrebbe amare il nemico, anche se morto, e poi pronuncia una frase da maschio prevaricatore che mi è quasi insopportabile: “Me vivo, donna non avrà dominio”, o in altri termini, nessuna donna prevarrà sugli uomini finché sono vivo, e poi aggiunge: “Tornino ad esser donne, ora, e non più libere.”

Il figlio di Creonte, Emone, dal canto suo è innamorato di Antigone e va a parlare con suo padre, gli dice “se donna sei, di te prendo tutela”, ma quello insiste con la sua cocciuta misoginia e ribatte “non assordarmi, succube di donna!”. Creonte non ascolterà neanche l’indovino Tiresia, con conseguenze sciagurate tra cui la morte non solamente di Antigone, che si impicca nella grotta in cui è stata murata, ma anche della moglie del re e del figlio Emone. Spoiler: muoiono tutti. Niente di nuovo per le tragedie greche.

Il confronto che c’è tra Antigone, la donna che osa sfidare le leggi degli uomini, e sua sorella, che le ricorda la sua condizione di sottomessa, mi è apparsa oggi di crudele bellezza. E Antigone, di fronte a un Creonte saccente e colmo del suo potere maschile e tirannico, mi è sembrata la voce ancestrale di tutte le donne del mondo.

E poi c’è il coro a regalare momenti lirici da commozione. Il coro era composto da un gruppo di attori e cantori, spesso tra 12 e 15 membri, che si esibivano in canti e danze.

Molte ha la vita forze tremende; eppure più dell’uomo, vedi, nulla è tremendo. Va sul mare canuto nell’umido aspro vento, solcando turgidezze che s’affondano in gorghi sonori. E la suprema fra gli dèi, la Terra, d’anno in anno affatica egli d’aratri sovvertitori. […] Diede a sè la parola, il pensiero ch’è come il vento, il vivere civile, e i modi d’evitare gli assalti dei cieli aperti e l’umide tempeste nell’inospite gelo, a tutto armato l’uomo: che nulla inerme attende dal futuro. Ade soltanto non saprà mai fuggire, se pur medita sempre nuovi rifugi a non domati mali.

antigone dipinto

Jean-Joseph Benjamin-Constant, Antigone presso il corpo di Polinice, 1868

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *