Viaggiare ha un aspetto totalizzante quando non ci si limita ad allargare lo sguardo, ma quando all’estensione si somma l’immersione — da cui si emerge (forse) soltanto al ritorno, quando si inizia a scrivere.
Sep 28, 2023
Viaggio a Creta. Credo che il viaggio stesso richieda un lessico a parte, la capacità linguistica di un occhio puntato sull’esterno. Sento che spesso mi manca, come mi manca il senso dell’orientamento e la capacità di ricordare i nomi di paesi e città, o di carpire a fondo l’influenza dello spazio con la sua vasta portata. Eppure non c’è profilo di collina, onda di mare con il suo sapore che entra dal naso, o linee verdi o d’asfalto che siano, che non contribuiscono a plasmare la nostra percezione.
Creta ha il fascino delle rovine. Ha tentato di rendere il suo particolare modo d’essere appetibile ai turisti, ma niente di ciò che fa per attrarre quel turismo è davvero efficace perché la sua particolarità ha una bella caratteristica: non si lascia afferrare. Costruire sentieri appositi o agevolare la comodità degli stranieri ricchi attira solo cercatori dello scontato, quelli che si muovono solo per avere la conferma che c’è altro là fuori. I bisognosi di rassicurazione. I posso permettermelo.
Ma la Creta imperitura, che resiste allo scorrere del tempo e all’occidentalizzazione standard delle città, e che si è venduta solo in parte a un turismo di convenienza, è un caldo invito all’esplorazione. Creta ti mette di fronte all’irrevocabilità delle cose, con le sue rocce dalla polvere rossa che non si appiattiscono al passaggio dell’uomo. Le rocce dell’isola sono la sua forza, e non sono solo le rovine di antichi palazzi gloriosi, ma montagne abitate da capre, strapiombi irregolari, pietre aguzze fonte di ineluttabilità: siamo così e così forse resteremo, senza che tu uomo possa far altro.
Anche le rovine di dimenticati monasteri, arroccate in luoghi impensabili dove il silenzio arriva a penetrare forte, tanto da rimbombare, anche quelle sono non una testimonianza, bensì un dichiarato permanere.
Creta permane, attraverso le sue rocce e le acque trasparenti. Conserva qualcosa che è tanto prezioso e che oggi sta sparendo, qualcosa che spiego con la sensazione del tempo che si ferma. Il tempo di qualità.

Anche il più remoto villaggio che si è piegato alle leggi della modernizzazione, resta aspro per l’uomo, quasi senza tenerlo in considerazione. Case spruzzate in zone difficilmente raggiungibili, piccoli agglomerati di poche anime e tanti chilometri di una ruralità ostinata e pura.
La conformazione di Creta mi ricorda davvero il tanto simbolico labirinto, ed è popolato da animali, sono i padroni di ogni sentiero scosceso ricoperto di ulivi o viti. Gli animali sono spiriti che osservano la venuta dell’uomo con una saggezza che lascia attoniti: sembra ovvio allo straniero che quegli stessi animali, che abitano l’isola da millenni, siano più esperti di qualunque altro visitatore.
Lo squallore di una città come Heraklion è compensata dalla cura di Chania o Rethymno, ma questi luoghi sicuri e affollati, conosciuti e molto simili allo sguardo urbano comune a molti europei, non emanano alcun fascino. Il fascino è tutto in zone aspre di costa su cui si infrange il mare diamantino, in villaggi arroccati tra le colline, nella violenza delle gole che danno l’impressione di nascondere antichi segreti. Sembra che siano infiniti gli angoli per esplorazioni azzardate.
Le grotte buie, abbandonate, profonde, abitate da pipistrelli e altre creature, sono l’oscuro luogo nel quale confrontarsi con l’ignoto, con il proprio sentire l’ignoto. La naturalità di vita e morte appare ovvia e ti accorgi che in città questo lo hai dimenticato: stiamo vivendo e moriremo. Come tutti gli altri esseri. Come i gatti randagi cretesi, che popolano le strade e i ristoranti e finiscono schiacciati al passaggio delle automobili. A ricordarlo le ossa di animali ai piedi di aquile e avvoltoi.
A Creta il cibo è già per strada, lo vedi con i grappoli d’uva sempre a portata di mano. Viene servito e mangiato come fosse un dono della natura, con poco altro: la sofisticatezza dei sapori sta nella loro semplicità. La vita di Creta non è semplice ma ha la semplicità come valore da rispettare — come principio estetico. L’asperità del territorio viene sciolto nella dolcezza del miele, la delizia finale dopo il pasto. Digerire, con il raki, è più facile.
Non mi stranisce che quest’isola sia stata la sede di quel labirinto mitico su cui ho tanto riflettuto durante gli studi liceali. Avere ogni spazio delimitato dal mare può significare che si può contenere il mondo, perché quello è tutto il tuo mondo. Lo è di sicuro per un ulivo vecchio quasi quattro secoli, un vivente che aspira alla longevità delle rocce.
Nel labirinto la sola regola è accettare di potersi perdere. Ho il dubbio che ce lo concediamo troppo poco, coi nostri segnali stradali e i parcheggi a pagamento. Nel rosso labirinto, come rosso era il filo di Arianna, c’è tanto spazio per la solitudine, ed è forse per questo che l’accoglienza degli abitanti di Creta è spontanea. L’incontro non è d’obbligo, ma ben accetto.

Ho scoperto, dopo aver buttato giù queste parole, che Henry Miller ha scritto questo del suo viaggio del 1939:
In Grecia le rocce sono eloquenti: gli uomini possono cadere morti, ma le rocce mai. […] Creta è una culla, uno strumento, una vibrante provetta in cui è stato eseguito un esperimento vulcanico. Creta può calmare la mente, sopire il gorgoglìo del pensiero.